Vai al contenuto

27 giugno 2008

 SINFONIA IN SOL PER FORBICI E RASOIO

Forse è tutta una questione di ritmo. Battere e levare, battere e levare, come in un solfeggio. Occhiata , ravviata, taglio e colpo di forbici finale sul pettine per ripulirlo dalla ciocca appena rasata. Quattro tempi perfetti. Così per la barba: prima l’insaponatura col pennello, poi il rasoio che canta scorrendo sulle guance e il mento, indugia sul pomo d’Adamo, rifinisce le basette, completa il contropelo. Un solfeggio durato una vita, quello di Franco Baraglia. E del resto guardatelo nel ritratto firmato da Gabriele Vargiu. Guardatelo e provate a negare che i gesti e l’aplomb paiano quelli di un direttore d’orchestra.

Adesso la musica è finita, gli amici se ne vanno. Con le mani nei capelli, verrebbe da dire, ché c’è da trovare un altro barbiere al quale affidare la testa e non è mica facile. Per un uomo è più semplice scegliere il medico, o il confessore, che il barbiere. Di questi tempi poi il rischio è d’imbattersi nell’acconciatore, nel coiffeur e nell’hair styler. Brava gente, per carità, ma che sta al barbiere come una buona trattoria sta al fast food. Nella prima mangi, nel secondo inghottisci roba; proprio come dal coiffeur accorci i capelli mentre dal barbiere accorci, ti rilassi e fai conversazione.


La barberia Baraglia era un pezzo di cinema neorealista che resisteva alle imposture del tempo. Pareva uscita da un film di De Sica o Rossellini. Anzitutto, niente appuntamento. Uno sguardo attraverso la porta a vetri e si capiva se e quanto dovevi aspettare. In fondo al locale, dalla parte opposta all’ingresso, cinque o sei seggiole attorno a un tavolino carico di vecchi numeri di "Oggi" e "Gente" e le copie quotidiane dei giornali locali. Torno torno alle pareti, antiche foto di Iglesias (il palazzotto di piazza Lamarmora, due o tre vedute di via Baudi di Vesme), di alcuni giocatori della "Monteponi", di Liccheddu che suona il tamburo il venerdì santo, la caricatura di Caffettera, una piccola riproduzione dell’affresco di Aligi Sassu e una vignetta sulla "corsa al Municipio" alle elezioni degli anni Ottanta.

Accanto alla porta il seggiolino per i bambini che, anzichè la solita testa di cavallo, aveva quella di Topolino. Due grandi specchiere a parete sotto una delle quali erano disposte tavolini e mensole. E, sopra, la sarabanda di forbici e pettini, rasoi e spazzole, creme e borotalco, dopobarba e allume di rocca. I suoi strumenti. Del maestro che, indossato il candido camice, con garbo e cortesia in venticinque minuti ti metteva la testa a posto.

Franco Baraglia cominciò come ragazzo di bottega alle dipendenze del padre Antonio, noto Nino, che oggi ha 91 anni e ancora, una volta al mese, taglia i capelli al figlio. Nino aveva aperto bottega negli anni Trenta in piazza Martini, salone dove oggi c’è la gioielleria. Una strada che segnò la sua vita perché è lì che abitava Angela, la ragazza sposata dopo un breve fidanzamento.

Nino lavora tutto il giorno in barberia, il lavoro gli piace, Angela gli dà cinque figli. C’è la guerra, sono anni difficili. Gli artigiani non hanno diritto alla previdenza, il futuro è incerto e Nino, con intelligenza, capisce che è meglio instradare uno dei figli al mestiere. La scelta cade su Franco, il più grande. Va ancora a scuola, ma la sera Nino se lo porta nel salone che, nel frattempo, ha trasferito in via Repubblica. Franco comincia dall’abc: ha il compito di insaponare il viso ai clienti ai quali il babbo deve far la barba. Per arrivare al viso di chi sta seduto in poltrona deve montare su una pedana che Nino gli ha costruito apposta. Il ragazzo ci sa fare e in breve tempo, sono gli stessi clienti («alcuni nati nel lontano 1885» ricorda) a incoraggiarlo a cimentarsi col rasoio e le forbici.

Apprende il mestiere e, neppure maggiorenne, conquista un salone tutto suo. Due parrucchieri bresciani, marito e moglie, gli cedono il locale di via Baudi di Vesme. Per fargli ottenere la licenza, visto che è un «minorenne emancipato», è il nonno a firmare tutti i documenti necessari.

Anni Cinquanta. Il problema previdenziale è ancora irrisolto e Nino, con qualche collega, mette sù la Società di mutuo soccorso "Barbieri e Parrucchieri". In caso di malattia l’associazione provvede al sostegno economico della famiglia del socio. Se questi muore il sodalizio provvede pure alle spese del servizio funebre e offre un sostegno economico ai familiari per i sei mesi successivi al decesso.

Nel 1963 Franco parte militare. Chiudere per un anno significherebbe perdere i clienti e allora il padre gli dà una mano. Nino si trasferisce nel salone del figlio e regge da solo l’attività fino al congedo dalla naja. Adesso nel salone, con Nino e Franco, c’è anche un lavorante ed è sempre attiva la "sezione femminile", ereditata, insieme ai grandi caschi asciugacapelli, dai precedenti proprietari. Poi pian piano il "ramo donne" si esaurisce. Ma le cose vanno bene, Franco si sposa e può sistemare anche un nuovo pavimento nel locale, sostituendo quello originario in mattoni. Nino e Franco arrivano ad avere 120 abbonamenti per le barbe, che i clienti radono due o tre volte la settimana. In aggiunta ci sono quelle "extra abbonamento", per una cifra totale di circa 500 barbe a settimana.

Franco si dedica anche all’attività sindacale. Diventa segretario territoriale della Confederazione degli artigiani. Poi lo tenta la politica e per cinque anni, dal 1980 al 1985, siede in consiglio comunale come indipendente eletto nel Pci. Gli chiedono di ricandidarsi ma non accetta: il padre ha lasciato il lavoro e il salone, per Franco, viene prima di tutto il resto.

Da allora, fino al 31 dicembre scorso, la barberia è stata «la mia scuola di vita. Ho conosciuto tanta gente di diversa estrazione e cultura. Minatori e professionisti, agricoltori e insegnanti, sindacalisti e preti». Per tanto tempo a fine anno a ciascuno di essi donava un calendarietto. «Non un omaggio ma il modo, tramite l’offerta che il cliente faceva nel riceverlo, di raccogliere una sorta di tredicesima che a noi barbieri non spettava».

Quella barberia di via Baudi di Vesme era rimasta una specie di circolo di conversazione dove s’ingannava l’attesa del taglio parlando di politica e sport, di Iglesias com’era e di Iglesias com’è. Cortese, conversatore piacevole ma col gran dono della discrezione, curioso collezionista di cose e ricordi locali, Franco Baraglia ha raccolto, anche negli ultimi giorni prima della chiusura, tante testimonianze d’amicizia. Dalle foto di bambini pronti al primo taglio su Topolino alla tesi omaggio di un cliente neo dottore, commosso e dispiaciuto dalla chiusura della barberia. Forse adesso il locale diverrà un circolo per gli amici di sempre, con i libri raccolti sugli scaffali negli ultimi anni proprio coltivando questa idea. Intanto Franco Baraglia, con un nipotino in arrivo, si prepara a fare il nonno. Le forbici per ora son state riposte in un cassetto, ma solo fino al primo taglio del piccolo Baraglia. Quel giorno il ritmo sembrerà il solito: occhiata, ravviata, taglio e colpo finale sul pettine per ripulirlo dalla ciocca rasata. Ma stavolta il solfeggio, per un nipote nuovo di zecca, diventerà sinfonia. Musica, maestro.

Roberto Cherchi
“La Voce di Iglesias” n. 1 – 10 gennaio 2008

From → Senza categoria

One Comment
  1. Marco Contu permalink

    Un saluto alla attività di signor Baraglia ma mi sarebbe piaciuto che si fosse ricordato che mio padre Antonio Contu (1920 -2011) ha avuto un ruolo importante nella costituzione della società di mutuo soccorso barbieri e parrucchieri che lo ha avuto presidente onorario per diversi anni anche quando è andato in pensione. Cordialmente marco Contu

Lascia un commento